Scena II – L’apparizione
Interno. Una biblioteca in penombra. La discussione tra Giorgio e il professor Lapenna è appena finita.
Il professore per un attimo è rimasto solo, rientra Giorgio. La stanza è ferma. Il tempo rallenta.
Una candela si accende da sola. Una seconda. Poi una terza.
Il buio si spacca.
E appare lui — Giordano Bruno. Ma non come martire. È un’ombra viva, vestita di luce nera.
Giordano Bruno: (voce profonda, calma, come scolpita nella pietra)
Mi cercate tra i libri.
Mi pregate come un santo della ragione.
Mi bruciate ancora, ogni volta che mi semplificate.
Ma io non appartengo alla vostra Chiesa. Né alla vostra Scienza… (pausa. Cammina tra gli scaffali)
Io sono colui che ha guardato oltre la fiamma.
Io ho visto il volto del fuoco.
E il suo nome… è Lucifero.
Prof. Lapenna: (sussurrando, impallidito)
Tu… tu parli del diavolo?
Giordano Bruno: (sorridendo con pietà)
No, stolto.
Parlo del portatore di luce.
Del primo che ha detto “io voglio sapere”.
Del primo che ha sfidato l’ignoranza, la legge cieca, la verticalità del potere.
Lucifero — non come essere malvagio, ma come simbolo del pensiero che si emancipa,
che si solleva, che rompe le catene del dogma.
Chi ama la conoscenza non può che essere luciferino.
Non nel peccato — ma nella luce.
Giorgio: (fisso, come ipnotizzato)
Quindi… è vero.
Tu non cercavi Dio.
Tu eri Dio.
O meglio, volevi esserlo.
Giordano Bruno: (fermo, con tono fiero)
Volevo che l’uomo lo diventasse.
Non attraverso la grazia.
Non per dono.
Ma per conoscenza.
Chi conosce, si salva.
Chi guarda dentro la natura, legge la mente di Dio.
E Dio — non è un vecchio giudice.
È tutto ciò che è. È fuoco, è desiderio, è trasformazione.
Prof. Lapenna: (ma ora più stanco che spaventato)
E quindi… era questo il tuo vero pensiero?
Lucifero come stella del mattino? Come sapere che rompe il sonno?
Giordano Bruno: (sussurra con passione)
Sì.
Io non ho mai venerato il diavolo.
Ma ho rispettato ciò che la Chiesa chiamava “diabolico”,
perché era solo ciò che essa non poteva controllare.
Luce non benedetta. Verità non autorizzata.
Giorgio: (ora con voce profonda, come se comprendesse qualcosa di antico)
Ecco perché tutti ti hanno cacciato.
Perché volevi salvare l’uomo… senza Dio.
Giordano Bruno: (caldamente)
No, Giorgio.
Io volevo salvare Dio dall’uomo.
Silenzio.
Le candele si spengono una a una.
Bruno svanisce.
Ma la sua voce resta nell’aria come un’eco incandescente.
Scena III – L’Invaso
La biblioteca è tornata buia. Ma qualcosa resta sospeso.
Una risata cavernosa rompe il silenzio.
Poi, un lampo. Fumo. Zolfo.
Ed entra Lucifero elegantissimo, vanitoso, con una toga da filosofo rinascimentale, il cappello piumato e un paio di occhiali d’oro inutili.
È una caricatura di Bruno stesso, ma con la lingua biforcuta e l’ego a mille.
Lucifero:(con voce tagliente, teatrale)
Eccolo qui… il martire delle biblioteche!
Il profeta dei pipponi infiniti!
Il mio… più grande fan!
(Si inchina teatralmente)
Giordano Bruno, ovvero, come montarsi la testa con un po’ di latino e due citazioni di Ficino.
Giorgio: (sbalordito)
Tu sei… Lucifero?
Lucifero: (alzando un calice di fumo)
Lucifero, sì… ma non quello dei libri.
Io sono il Lucifero che ride.
Quello che ha ispirato poeti, streghe, rivoluzionari…e qualche filosofo fallito che sognava d’essere Dio ma non sapeva nemmeno stare zitto.
(Ride forte)
Prof. Lapenna: (stordito)
E Bruno? Tu eri il suo modello?
Lucifero:
Pf! Ma figurati.
Bruno? Era uno studente mediocre con manie di grandezza.
Ha letto due libri di magia, si è fissato con l’infinito, e pensava di essere più furbo di tutti.
Credeva che l’universo fosse specchio del suo ego.
Il microcosmo?
Era il suo specchio da trucco!
Lucifero: (mimando Bruno con voce pomposa)
“Io, che vedo il tutto, io che sono parte del divino, io che disprezzo il mondo perché non mi capisce…”
Ma andiamo!
Era solo un domenicano in crisi mistica, che non accettava di non essere capito…
…perché non capiva nemmeno sé stesso!
Giorgio: (piangendo quasi dal ridere)
Quindi tutta quella luce, quella conoscenza, quel Dio nella natura…
Lucifero: (puntandogli un dito finto-glorioso)
Era scenografia!
Era filosofia da teatrino!
Bruno non cercava la verità, cercava pubblico.
Voleva essere ammirato, non comprendere.
E io?
Io gli ho dato quello che voleva, l’illusione della grandezza.
L’ho fatto bruciare non perché aveva ragione…
Ma perché non sapeva più smettere di parlare.
Prof. Lapenna: (amaro)
E la conoscenza?
La libertà?
L’uomo che si eleva?
Lucifero: (beffardo, indicando sé stesso)
La conoscenza vera è sapere di non sapere.
La libertà è accettare il limite.
E l’uomo che si crede Dio…è solo un pazzo in cerca di applausi.
(Si volta verso il buio)
Addio, miei piccoli apprendisti dell’orgoglio.
Io torno giù, dove l’ego trova casa.
Dite a Bruno che… la sua aula è pronta.
Fumo. Buio. Silenzio.
Ma un’eco di risata resta sospesa.
Giorgio e Lapenna, ora, sono muti.
Uno ride, l’altro pensa.
Ma entrambi hanno visto il volto dell’inganno.
Di chi confonde la luce… con il riflettore.
Scena IV – Il Tribunale degli Spiriti
Una sala senza pareti.
Solo buio, luce e tre scranni vuoti, su cui appaiono tre Giudici velati, figure immobili, senza volto.
Di fronte a loro, in piedi, Giordano Bruno, con la veste nera e il volto pieno di luce malcelata.
Ai lati, Giorgio e il Professor Lapenna osservano in silenzio.
Voce del Primo Giudice: (brontolante, antico)
Giordano Bruno, sei chiamato a rispondere, non delle tue idee, ma della tua superbia.
Hai confuso la luce con il tuo riflesso.
Secondo Giudice: (gelido)
Hai sfidato ogni fede, ogni regola, ogni nome sacro.
Hai sputato su ogni altare, ma ne hai costruito uno a te stesso.
Terzo Giudice: (come un’eco metallica)
Hai cercato la verità…
…o solo una platea?
Giordano Bruno: (sorridendo, inchinandosi con esagerata eleganza)
Signori miei, sì, ho cercato verità, ma non quella che sta seduta.
Ho scelto la fiamma, non la cenere.
Ho bruciato dogmi, non per odio, ma perché mi andavano stretti.
(Verso Giorgio, ammiccando)
Diciamolo, i grandi cialtroni come me, sanno sempre come uscire di scena.
E se devono farlo…lo fanno con stile.
Terzo Giudice: (rabbioso)
Ti sei mai chiesto se quello stile fosse solo vanità?
Bruno: (alzando la voce, con finta indignazione)
Vanità?
No! Teatro!
E quale scena più perfetta di questa?
Un tribunale eterno, un’accusa che risuona nel vuoto,
e io, solo, a ricordarvi che forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza, che io nell’ascoltarla
(Fa un passo avanti, spalancando le braccia)
Bruciatemi di nuovo!
Io sarò luce nel vostro buio.
Io sarò eco nei vostri silenzi.
Io sarò la voce di chi rifiuta di inginocchiarsi,
anche davanti a Dio, se Dio non sa spiegarsi.
Giorgio: (quasi sussurrando)
È pazzo…
O è l’unico lucido?
Prof. Lapenna: (stanco, affascinato)
È entrambe le cose.
È Bruno.
I Giudici si alzano.
Nessuna condanna viene pronunciata.
Solo silenzio.
Poi spariscono.
Bruno resta solo, illuminato da un fuoco simbolico che sale lentamente.
Ma lui non trema. Sorride.
Bruno: (con sussurro ironico, mentre la luce si fa più intensa)
Almeno… questa volta ho avuto il pubblico che meritavo.
Fiamma. Silenzio. Buio.
D. Malecogita