Tra i fitti boschi dei Monti Cimini, nella Tuscia viterbese, esiste un luogo dove il tempo sembra sospeso, un autentico scrigno di spiritualità, storia e mistero. Siamo a Soriano nel Cimino, dove tra le pieghe di un bosco un tempo impenetrabile sorge una piccola chiesa medievale, fondata dai primi monaci agostiniani nella seconda metà del XII secolo. Questo luogo, nascosto tra le fronde, custodisce un’autentica rarità, una nave di marmo incastonata all’interno delle sue mura.
Per comprendere appieno la forza simbolica di questo sito, è necessario fare un passo indietro. L’area era parte della mitica Silva Ciminia, la temuta foresta sacra per gli antichi romani e ritenuta dimora di divinità pagane legate a Madre Natura (“Silva erat Ciminia magis tum invia atque horrenda quam nuper fuere Germanici saltus”; Paragrafo 36, Libro 9 di Livio). Nei secoli successivi, proprio quella sacralità selvaggia attrasse monaci e religiosi, in cerca di un legame più autentico con il divino. Gli eremi, le necropoli, le grotte e i resti di templi disseminati in questi boschi sono testimoni di un passato intriso di spiritualità e leggenda.
Fu Papa Niccolò III Orsini, intorno alla fine del Duecento, a volere la costruzione di una vera chiesa, consacrandola alla Santissima Trinità e affiancandole un convento. In questo luogo i monaci conducevano una vita ritirata, scandita dalla preghiera e dal lavoro quotidiano, curavano piccoli orti e raccoglievano i doni del bosco — castagne, erbe officinali, funghi e selvaggina — vivendo in armonia con la natura circostante. La comunità crebbe fino a contare quaranta religiosi, e la chiesa attraversò un lungo periodo di intensa vitalità spirituale.
Nel 1504, il dotto agostiniano Egidio da Viterbo scelse questo luogo come rifugio dell’anima. Divenuto priore generale dell’Ordine, arricchì la chiesa con un’immagine bizantina della Madonna col Bambino e una preziosa reliquia, una ciocca dei capelli della Vergine. La fama del santuario si diffuse tra i pellegrini in cammino lungo la Francigena, attratti dalla sua sacralità. Va ricordato, però, che la Via Francigena non era un unico tracciato fisso, ma un sistema di vie con diverse diramazioni, una seguiva la via Cassia, un’altra risaliva i Monti Cimini, passando per luoghi come San Martino al Cimino, noto per la sua accoglienza e la bellezza della sua chiesa. È quindi plausibile che alcuni pellegrini scegliessero di deviare verso Soriano nel Cimino, spinti dalla fama di certi santuari e dall’ospitalità ricevuta lungo il cammino.
Il declino iniziò lentamente…. I monaci rimasti si trasferirono a Soriano, la reliquia scomparve, la chiesa fu saccheggiata, il convento distrutto da chi cercava un leggendario tesoro. Per lungo tempo, solo la natura rimase a vegliare sulle antiche pietre. Poi, nel 2014, la svolta. Un imprenditore acquistò oltre cento ettari di bosco, compreso il sito della chiesa abbandonata.
All’inizio, la notizia fu accolta con diffidenza dalla comunità locale, abituata a vivere quei luoghi secondo ritmi antichi. Ma col tempo, l’intervento privato si è rivelato provvidenziale. Il bosco è oggi un’area protetta, trasformata in un’oasi didattica dove la biodiversità viene rispettata e valorizzata. Bambini e famiglie possono esplorare i sentieri, partecipare a laboratori naturalistici, dormire sotto le stelle, guidati da esperti appassionati.
E proprio all’interno della chiesa è custodita una meraviglia che ha dell’incredibile, una nave cinese di marmo, replica in scala 1:3 della Nave del sollievo e della purezza, costruita nel 1895 per l’imperatrice Ci Xi. Questo capolavoro è frutto della storia personale di Eugenio Benedetti, imprenditore italiano che ha operato a lungo in Cina. Fu l’ultimo imperatore, Pu Yi, a esprimere il desiderio di donare all’Italia una copia della barca della nonna, un gesto di memoria e amicizia. Benedetti ricevette in dono cento tonnellate di marmo bianco, 3.000 pezzi scolpiti a mano dagli artisti della Hebei Arts & Crafts, poi assemblati nel cuore del bosco laziale, nella chiesa di Sant’Egidio.
Oggi, questo luogo straordinario è molto più di un patrimonio culturale; è un punto di incontro tra civiltà, una testimonianza di fede, un laboratorio di educazione ambientale e, forse, un invito a riscoprire il sacro che si cela nella natura. La tenuta di Sant’Egidio merita una visita, anzi, più di una, in ogni stagione dell’anno.
Estè Gravina